Tra Biodiritto e Neoumanesimo

Tutela del valore della dignità umana e diritto all’autodeterminazione, trovano il proprio fondamento giuridico nell’impianto costituzionale che, come è noto, accoglie e delinea un nuovo ordinamento, personalista1 e solidarista2, oltre che in fonti internazionali3. Partendo, infatti, dal riconoscimento dei diritti inviolabilidell’uomo (art. 2 Cost.), la Costituzione repubblicana del ’48 supera la tradizio- nale impostazione che poneva lo Stato al centro dell’ordinamento. In tale quadro di riferimento è così riconosciuto il primato della persona rispetto allo stesso Stato. In tale contesto, la persona umana è considerata fine e non mezzo di qualunque attività, ed è più specificamente, «fine del sistema delle libertà». L’art. 2 Cost., rappresenta pertanto, come rilevato dalla dottrina civilistica, «la clausola generale di tutela della persona».

Il diritto all’autodeterminazione quale espressione in cui si riverbera la stessa dignità umana, trova riscontro e tutela nell’art. 13 Cost., che proclama l’inviolabilità della libertà personale. Secondo l’art. 32 Cost., la salute costituisce un diritto fondamentale dell’indivi-duo (oltre che un interesse generale della collettività). Si tratta dell’unico caso incui nel testo costituzionale un diritto è definito “fondamentale”. La norma de quaprosegue affermando che «Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge» e precisando che, in ogni caso, la legge non possa violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana, viene a realizzare una riserva di legge rafforzata. In virtù di tale norma il trattamento puòessere imposto dalla legge (nei limiti del rispetto della persona umana), ma non già per la tutela dell’interesse individuale (che è rimesso all’autodeterminazione) bensì per quella del pubblico interesse.

In tale quadro dunque il consenso della persona costituisce la stessa ragione giustificatrice del trattamento medico-sanitario, sia a fini penali6 che civili.

Non è dunque sufficiente il mero dovere di curare da parte del medico, in quanto occorre il consenso del soggetto destinatario del trattamento sanitario a riceverlo.

All’esercente la professione medica lo Stato ha affidato il delicato compito ditutelare concretamente un valore costituzionalmente protetto (la salute dell’in–dividuo); tuttavia il medico può intervenire solo se c’è il consenso del soggetto.

Già dall’art. 32 Cost., discende il diritto di chiunque ad una adeguata informazio- ne al fine di fornire il proprio consapevole consenso alle prestazioni sanitarie, e, cor- relativamente, uno specifico obbligo per il medico di informare. Il consenso, d’altra parte, come si è visto, serve a legittimare lo stesso intervento sanitario. Il medico ha dunque l’obbligo di informare il paziente sia in ordine alla diagnosi effettuata che alla terapia che deve essere praticata. Più specificamente l’informazione che il medi- co è tenuto a dare al soggetto interessato riguarda, la natura della patologia diagnosticata, il trattamento terapeutico per la cura della stessa e i rischi che lo stesso presenta; inoltre, il medico deve, in una valutazione comparativa, illustrare alla personaanche gli eventuali interventi terapeutici alternativi (e i rischi connessi) oltre che leconseguenze cui andrebbe incontro in assenza assoluta di terapie.

Il consenso libero e consapevole trova naturalmente riscontro anche in fontiinternazionali (come l’art. 5 della cosiddetta Convenzione di Oviedo del 4/4/1997 (Convenzione sui Diritti dell’uomo e sulla Biomedicina), ratificata dall’Italia con la legge 28 marzo 2001, n. 145) e sovranazionali, come la stessa Carta dei dirittifondamentali dell’Unione europea (art. 3, comma 2, lett. a) che, ai sensi dell’art. 6,comma 1, del Trattato UE ha lo stesso valore giuridico dei trattati.

È importante rilevare come il diritto di autodeterminazione, fondato sui principi di cui agli articoli 2, 13 e 32 Cost., comporti quindi non solo la esistenza di un diritto(in positivo) di ciascuno essere curato, ma anche quella di un diritto, a contenutonegativo, di rifiutare eventualmente le terapie proposte o di decidere consapevol- mente di interromperle, in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale.

A tal proposito va rilevato che le scelte di fine vita, nell’interpretazione della Corte europea per i diritti dell’uomo, costituiscono espressione della libertà dell’individuo, e pertanto attengono al rispetto della vita privata ai sensi dell’art. 8, CEDU.

In piena conformità con quanto stabilito dalle norme costituzionali si pongono poi varie disposizioni di legge ordinaria, come l’art. 33 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale (norma che vieta la possibilitàdi accertamenti e di trattamenti sanitari in mancanza del consenso del soggetto, ameno che non ricorra uno stato di necessità ex art. 54 c.p.); l’art. 3 della legge 21ottobre 2005, n. 219, Nuova disciplina delle attività trasfusionali e della produzione nazionale degli emoderivati; l’art. 1 della legge 13 maggio 1978, n. 180, Accertamen- ti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori; l’ art. 6, della legge 19 febbraio 2004,n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita). L’informazionecome specifico obbligo del medico inoltre è disciplinato dallo stesso Codice dideontologia medica (art. 35).

Ma è con la recente legge 22 dicembre n. 219, Norme in materia di consenso in- formato e di disposizioni anticipate di trattamento che è stata introdotta un’organi- ca disciplina del consenso informato.

La finalità della legge 219 del 2017 è chiaramente indicata all’art. 1: la tutela del diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona. Quindi, in tale ottica, nessun trattamento sanitario può essere iniziato o prosegui- to se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge.

Al comma 3 dell’articolo 1, poi è specificato il contenuto delle informazioni che la persona ha diritto di ricevere dal medico e cioè le proprie condizioni di salute che devono essergli rappresentate in modo completo, aggiornato e comprensibile riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefici e ai rischi degli accertamenti dia- gnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché riguardo alle possibili alternati- ve e alle conseguenze dell’eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell’accer- tamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi. Quindi è espressamente menzionata la possibilità di rifiutare in tutto o in parte di ricevere le informazioni ovvero di indicare i familiari o una persona di sua fiducia incaricati di riceverle e di esprimere il consenso in sua vece se il paziente lo vuole, con la precisazione che il rifiuto o la rinuncia alle informazioni e l’eventuale indicazione di un incaricato devono essere registrati nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico.

Al comma 4 poi è stabilito il modo di acquisizione del consenso informato, con «gli strumenti più consoni alle condizioni del paziente». Quanto alla forma essaè scritta, consistente in videoregistrazioni. Per la persona con disabilità, il consenso può essere acquisito attraverso dispositivi che le consentano di comunicare. In ogni caso il consenso informato, in qualunque forma espresso, è inserito nella car- tella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico.

È poi ribadito (al comma 5) che ogni persona capace di agire ha il diritto di rifiu– tare, in tutto o in parte, con le stesse forme previste per l’acquisizione del consenso, qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico per la sua patologia o singoli atti del trattamento stesso. In ogni caso la persona conser- va il diritto di revocare in qualsiasi momento, con le stesse forme, il consenso pre- stato, anche quando la revoca comporti l’interruzione del trattamento.

Infine la importante precisazione che, ai fini della legge, sono considerati trat- tamenti sanitari la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale, in quanto som- ministrazione, su prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici. Qualora il paziente esprima la rinuncia o il rifiuto di trattamenti sanitari necessari alla propria sopravvivenza, il medico prospetta al paziente e, se questi acconsente, ai suoi familiari, le conseguenze di tale decisione e le possibili alternative e pro- muove ogni azione di sostegno al paziente medesimo, anche avvalendosi dei servizi di assistenza psicologica. Ferma restando la possibilità per il paziente di modificare la propria volontà, l’accettazione, la revoca e il rifiuto sono annotati nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico.

Grazie a disposizioni come quelle contenute nella Costituzione anche il nostro ordinamento ha potuto compiere quel progressivo superamento della concezione tradizionale dell’attività medica che vedeva il paziente in posizione subalterna, assoggettato nel suo completo affidarsi con atteggiamento fideistico. Tale concezione, sviluppatasi nella cultura occidentale influenzata dal giuramento di Ippo- crate e poi dal Cristianesimo, ha visto e considerato la professione sanitaria come protesa al bene del paziente in uno slancio di gratuità e beneficienza che comportava l’obbligo di curare i pazienti e di non provocare agli stessi danni ed ingiustizie(primum non nocere).

Una visione paternalistica (anche se non si può certo affermare che tale paterna–lismo sia stato nei secoli di storia della medicina sempre e comunque dispotico)che nel nostro ordinamento, tra l’altro, aveva coerentemente prodotto risultaticoncreti sul piano giurisprudenziale: limitare la responsabilità (anche) del medicocome in genere del professionista, in quella sorta di privilegio che traeva origine dalla distinzione, peraltro non presente nel codice civile, tra obbligazione di mezzi e obbligazione di risultato.

In virtù di tale tradizionale modo di approcciarsi al problema, fondato anche sulla ovvia constatazione della generale ignoranza del paziente in campo tecnico-sanitario e su una certa deferenza verso l’attività medica, le relazioni tra medico e paziente sostanzialmente per il primo si risolvevano in una totale riserva di com- petenza in ordine alle scelte da compiersi e, per il secondo, nella ricordata sotto- missione incondizionata alle decisioni prese dal professionista.

La situazione muta profondamente quando è avvertita, nell’immediato secon- do dopoguerra – dopo i tragici eventi dei crimini e abusi compiuti dai medici nazisti (con le abominevoli atrocità delle sperimentazioni fatte su cavie umane nei campi di concentramento), e il conseguente processo di Norimberga – la necessità di fissare, compilando appunto il “Codice di Norimberga”, i limiti generali dell’attività e della sperimentazione medica al fine precipuo della salvaguardia della per- sona umana, della sua dignità e dei suoi diritti inviolabili. In tale contesto, viene preliminarmente affermata l’imprescindibilità del consenso dell’interessato a qualunque intervento o prestazione sanitaria sul suo corpo.

In ogni caso vi fu l’avvio di un iter giuridico e politico mediante il quale si è determinato il ribaltamento della logica tradizionale ed è stata riconosciuta la necessità di realizzare un rapporto paritario tra i soggetti protagonisti, cioè il medico e la persona da sottoporre a interventi sanitari. In altri termini, pur non essendo in alcun modo messo in discussione il ruolo “tecnico-scientifico” e professionale del medico, la sua attività peraltro deve conciliarsi con il diritto all’ autodeterminazio- ne del paziente. Di qui, la nascita di nuove relazioni, improntate alla «cooperazione terapeutica» fra medico e malato, in vista della realizzazione di un intento comune (la cura del malato).

Il paziente-persona, di cui tutti gli ordinamenti degli stati democratici ormai riconoscono e garantiscono i diritti inviolabili, deve poter liberamente e consape- volmente accettare, scegliere o anche rifiutare i trattamenti sanitari e, in ogni caso, non più supinamente subirli.

Pertanto da una relazione medico-paziente di tipo paternalistico e fideistico si è passati a un rapporto di fiducia tra medico e persona da curare, il cui presupposto indefettibile è costituito dalla corretta informazione che il primo deve fornire alla seconda, nel quale rapporto si coniugano «l’autonomia decisionale del paziente e la competenza, l’autonomia professionale e la responsabilità del medico», come recita l’art. 1, comma 2 della l. 219, del 2017.

 

Avv. Michele Saracino

(Cultore Diritto civile e Biodiritto, fac. Giurisprudenza- Uniba Taranto)

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12/11/2021

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