La responsabilità civile per danni cagionati da cose in custodia

Il caso

Una signora (C.M.P.) adiva il Tribunale di Roma al fine di ottenere la condanna al risarcimento dei danni cagionati da una chiazza di sapone colata sul pavimento di un supermercato, che le causò una rovinosa caduta da cui riportò la rottura di un femore, convenendo in giudizio il titolare del grande magazzino interessato (S. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore Dott. G.D.). La pretesa vantata veniva rigettata con sentenza del 17 giugno 2002; la soccombente, dunque, impugnava suddetta pronuncia dinanzi alla Corte d’Appello di Roma. Vedutasi, tuttavia, respingere il gravame in data 1° aprile 2005, C.M.P. proponeva ricorso per cassazione; resisteva con controricorso S. s.r.l.

I motivi di ricorso

In esito ad un’attenta lettura della sentenza in commento, è possibile individuare tre distinte censure che la C.M.P. ha mosso al provvedimento giurisdizionale oggetto di ricorso. In particolare:

  • Con il primo motivo, l’impugnante ha dedotto l’insufficienza della motivazione resa dai giudici della Corte territoriale rispetto al motivo di appello volto a far valere la responsabilità della controparte ex 2043 c.c. (Risarcimento per fatto illecito), desumibile – secondo la ricorrente stessa – in ragione della mancata adozione di cautele che segnalassero la presenza di un pericolo sul pavimento del supermercato (ossia, la chiazza di sapone), idonea a connotare in termini di colpa la condotta del titolare del grande magazzino.
  • Con il secondo motivo, l’impugnante ha denunciato la violazione dell’ 2051 c.c. (Danno cagionato da cosa in custodia), poiché la Corte d’Appello ha assolto il titolare del supermercato sull’assunto che la parte attrice avesse l’onere di provare – oltre al nesso di causalità tra la res in custodia ed il danno subito – anche la concreta sussistenza di una “insidia-trabocchetto”, il che, secondo la ricorrente medesima, non sarebbe giuridicamente necessario, tanto più avendo riguardo al fatto che la diligenza ordinariamente richiesta alla clientela di un grande magazzino consisterebbe in quella media di cui ex art. 1176 c.c. (Diligenza nell’adempimento).
  • Con l’ultimo motivo, l’impugnante ha lamentato l’insufficiente motivazione resa dai giudici della Corte territoriale rispetto al motivo di appello volto a far valere la responsabilità della controparte ex art 2049 c.c. (Responsabilità dei padroni e dei committenti), dal momento che – secondo la ricorrente stessa e contrariamente a quanto espresso dai giudici del gravame – la presenza del sapone sul pavimento del supermercato non esimerebbe il titolare di quest’ultimo dal rispondere per carenze nella manutenzione della struttura, nonostante la macchia liquida si fosse da poco originata.

Preso atto di tali doglianze, la Suprema Corte ha circoscritto il proprio esame alle critiche ascrivibili al secondo motivo di ricorso, le quali presenterebbero un “rilievo potenzialmente assorbente” degli altri profili di censura, data la condivisibile sussunzione della fattispecie de qua entro l’ambito di applicazione dell’art. 2051 c.c.

Al fine di comprendere la portata della decisione del Giudice di Legittimità che di seguito si andrà a declinare – nonché dei connessi principi di diritto dallo stesso enunciati nell’espletamento della propria funzione nomofilattica – pare preliminarmente necessario fornire un sintetico inquadramento dell’art. 2051 c.c., il quale disciplina un regime speciale di responsabilità civile per fatto proprio, consistente nella responsabilità derivante da danni cagionati da cose in custodia. Nello specifico, la disposizione in esame (composta da un unico comma) prescrive che: “Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”.  Dal tenore letterale di tale norma, dunque, è possibile dedurre che gli elementi costitutivi della fattispecie giuridica in considerazione siano cinque, ossia:

  • La cosa danneggiante[1], che può consistere in un qualunque bene (mobile o immobile, animato o inanimato, pericoloso o meno[2]);
  • Il danno derivante dalla cosa;
  • Il nesso di causalità tra detta cosa e danno verificatosi, il quale deve necessariamente essere diretto[3];
  • Il custode, ossia colui che abbia un potere di governo e di intervento sulla cosa[4], al quale risulta ex legeimputabile il danno cagionato dalla stessa;
  • La prova liberatoria, data dal caso fortuito, che consente al custode di andare esente da responsabilità[5].

Inoltre, trattandosi di un’ipotesi di responsabilità oggettiva[6], non è necessario che si accerti l’esistenza di alcun elemento soggettivo (dolo, colpa) in capo al custode, sicché questi sarà comunque chiamato a rispondere di tutte le cause di danno provocate dalla res – salvo il caso fortuito – ancorché a lui stesso ignote (c.d. rischio da custodia)[7].

Infine, quanto alla ripartizione dell’onere probatorio tra le parti in contesa, pare essenziale precisare che, conformemente ai principi generali in materia di responsabilità aquiliana[8], spetta al danneggiato dimostrare – inter alia[9] – la sussistenza della relazione causale tra cosa in custodia e danno cagionato. Viceversa, invece, si pone a carico del custode la deduzione in giudizio del caso fortuito, il quale – consistendo in un evento naturale o umano (fatto del terzo o del danneggiato) idoneo ad interrompere il nesso causale tra res e danno[10] – esime il custode stesso da responsabilità. Tale elemento liberatorio, dunque, deve essere valutato in considerazione delle circostanze di ciascun singolo caso concreto.

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14/06/2021

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