Il creditore chirografario

Che cosa significa “creditore chirografario”? Quali sono le differenze fra crediti chirografari e crediti privilegiati? Come si recupera un credito chirografario?

La presente trattazione intende rispondere in modo completo ai predetti interrogativi.

1. Chi è il creditore chirografario?

I creditori cosiddetti “chirografari” sono i creditori che non sono assistiti da cause di prelazione ed in quanto tali, concorrono tra di loro in condizione di eguaglianza (seppur con alcune precisazioni di cui si dirà di seguito).

 Nel dettaglio, la causa di prelazione, può definirsi come una deroga al principio della pari condizione dei creditori (par condicio creditorum) in forza della quale un creditore, c.d. “privilegiato”, viene preferito rispetto ad altri creditori (c.d. chirografari) nel soddisfacimento sui beni del debitore, come ad esempio, avviene nel riparto delle somme che si ricavano in sede di esecuzione forzata.

Sul punto, occorre partire da quanto previsto dall’ art. 2740 c.c. che esprime un principio di portata generica e, secondo il quale, il creditore ha uno specifico diritto sul patrimonio del debitore perché se il debitore non adempie alla propria obbligazione in modo spontaneo, il creditore, può farlo espropriare in via forzosa e quindi, anche contro la volontà del debitore. Infatti, l’ordinamento processuale del nostro paese, non si limita ad attribuire alla parte che ritiene di aver subito un torto (nel caso che qui interessa, il torto, è il mancato pagamento di un debito) il diritto ad ottenere un accertamento giudiziale, dal momento che il vero presidio di tutela del diritto di credito è rappresentato dal principio per il quale il diritto alla garanzia patrimoniale può essere azionato e soddisfatto anche contro la volontà del debitore.

In poche parole, si tratta dell’attuazione della garanzia patrimoniale come prevista dall’ art. 2910 del codice civile il quale esattamente, al primo comma, prevede che: “il creditore, per conseguire quanto gli è dovuto, può fare espropriare i beni del debitore, secondo le regole stabilite dal codice di procedura civile”.

 Ciò vuol dire che chiunque venga riconosciuto come il creditore di un importo di danaro può far espropriare i beni del debitore perché i beni- e più in generale il suo patrimonio- del debitore sono la garanzia del soddisfacimento della ragione di credito.

 Del resto, nella lettura delle disposizioni codicistiche ausiliarie della tutela della garanzia patrimoniale è previsto:

  • all’ art 2905 c.c. il sequestro conservativo volto ad evitare la dispersione del patrimonio del debitore;
  • all’ art. 2900 c.c., volto ad evitare che il debitore, rimanendo inerte, pregiudichi il diritto del creditore anche sul patrimonio futuro;
  • all’ art. 2901 c.c., dall’azione revocatoria ordinaria che serve a reprimere le condotte del debitore che abbiano portato una diminuzione della garanzia patrimoniale.

L’ordinamento, quindi, pone a disposizione di tutti i creditori la possibilità di reagire all’inadempimento del comune debitore.

Può pertanto accadere che più creditori, vantino delle pretese nei confronti dello stesso debitore.

In un panorama giuridico del genere, soccorre la disposizione dell’art 2741 del codice civile che prevede, le c.d. “cause di prelazione” e secondo il quale i creditori hanno uguale diritto di essere soddisfatti sui beni del creditore salvo le cause legittime di prelazione che sono il privilegio (art. 2745 del c.c.), il pegno (art. 2784 del c.c.) e l’ipoteca (art. 2808 del c.c.).

Il creditore privilegiato non concorre con i chirografari, ma ha il diritto di far valere il suo credito sul bene oggetto di prelazione per l’intero.

Doveroso rammentare sul punto che i titoli di prelazione hanno delle caratteristiche comuni fra cui:

il diritto di sequela che si verifica quando il titolare di una causa di prelazione su un bene determinato può aggredirlo anche se il bene è passato in mano a terzi soggetti;

la surrogazione reale del creditore nelle ragioni che spettano al debitore sul beneche ad esempio si verifica sull’indennità dovuta dall’assicuratore per il perimento o deterioramento della cosa soggetta a privilegio, pegno ed ipoteca ex art. 1882 del c.c.;

la perdita del beneficio del termine eventualmente previsto a favore del debitore che si verifica nel caso cosa data in garanzia perisce o si deteriora in modo da risultare insufficiente a garantire il credito, in una situazione di questo tipo, il creditore privilegiato può chiedere idonea garanzia su altri beni oppure, in via subordinata, il pagamento immediato di quanto dovuto;

il pignoramento dei beni del debitore secondo quanto previsto dall’ articolo 2911 c.c. che avviene quando il creditore garantito da pegno, ipoteca e privilegio non può procedere su altri beni se prima non sottopone ad esecuzione il bene oggetto della garanzia

Quanto all’ intervento nel processo esecutivo dei creditori muniti di cause di prelazione, la normativa in materia (artt. 528, 2° comma cpc, art 551 cpc e 566 cpc.). prevede che questo tipo di creditori, non hanno una scansione temporale ben precisa purchè intervengano prima della formazione del progetto di distribuzione e possono intervenire anche dopo l’udienza di autorizzazione alla vendita, senza subire conseguenze negative.

Ci sono però anche dei limiti all’ efficacia delle cause di prelazione come disciplinato nel codice civile all’ all’articolo 2916 c.c. il quale prevede che nella distribuzione della somma ricavata dall’esecuzione non si tiene conto:

1) delle ipoteche, anche se giudiziali, iscritte dopo il pignoramento;

2) dei privilegi per la cui efficacia è necessaria l’iscrizione, se questa ha luogo dopo il pignoramento;

3) dei privilegi per crediti sorti dopo il pignoramento.

Pertanto, in ragione di detta previsione codicistica, eventuali cause di prelazione che sono state costituite dopo il pignoramento sono inefficaci nell’esecuzione.

In relazione ai creditori muniti di privilegio, in forza di questa disposizione, se il loro credito è sorto dopo il pignoramento, essi potranno intervenire nell’espropriazione, ma saranno trattati in sede di distribuzione del ricavato come se fossero creditori chirografari, cosicché in sede di distribuzione del ricavato può essere necessario accertare la data ( e che sia certa secondo la normativa in materia) nella quale è sorto il credito ed il creditore privilegiato; infatti, se sorgono delle contestazioni, sarà necessario fornire la prova che il suo credito è nato prima del pignoramento.

Degno di nota è anche il fatto che l’articolo 2916 c.c. non fa alcun riferimento al pegno, ma, per prassi, si può ritenere che anche i pegni devono essere stati costituiti prima del pignoramento per essere opponibili ai creditori concorrenti.

2. La normativa di riferimento

La responsabilità patrimoniale, le cause di prelazione e la conservazione della garanzia patrimoniale, cui naturalmente consegue la gradazione dei crediti in sede di distribuzione del ricavato trovano la sua disciplina nel codice Civile, Libro VI, Titolo III articoli 2741 e 2748 .Lo svolgimento del processo e dunque il modus operandi quanto alla distribuzione della somma ricavata, si trova invece nel codice di procedura civile, nel Libro III – del Processo di Esecuzione, all’ articolo 510 ed all’ articolo 596.

L’articolo 2741 comma 1 del codice civile stabilisce che le cause legittime di prelazione sono, i privilegi, il pegno e l’ipoteca.

Il creditore munito di una prelazione ha diritto di essere preferito in sede di distribuzione del ricavato.

Per i creditori muniti di cause di prelazione, non esiste una differenza tra intervento tempestivo e tardivo, questi creditori possono intervenire anche dopo l’udienza di autorizzazione alla vendita, senza subire conseguenze negative (ex artt. 528, comma 2, 551 e 566 c.p.c.).

Per tutelare i propri diritti, questi creditori devono intervenire entro il termine ultimo fissato dal legislatore o individuato dalla giurisprudenza per le singole forme di espropriazione.

L’art. 2748 invece prevede e risolve i conflitti fra i privilegi speciali ed i diritti di garanzia reale: pegno ed ipoteca.

L’articolo 510 del codice di procedura civile regola la distribuzione delle somme ricavate nell’espropriazione forzata secondo due ipotesi diverse:

  • Nel caso in cui c’è un unico creditore (primo comma)
  • Nel caso in cui ci sia una pluralità di creditori (secondo comma ed ovviamente, è l’ipotesi più complessa) rammentando che l’espropriazione forzata comporta, infatti, il concorso dei creditori, che si realizza mediante l’intervento nel processo esecutivo.

Infatti, nella non infrequente ipotesi in cui il patrimonio del debitore viene aggredito da uno dei creditori, per gli altri la partecipazione al concorso è necessaria, perché il creditore inerte perde definitivamente quella parte di garanzia che il bene, oggetto dell’esecuzione, prestava al suo credito.

Laddove il ricavato dalla vendita non sia sufficiente per l’adempimento delle obbligazioni del debitore, in sede di distribuzione alcuni creditori concorrenti non saranno soddisfatti, interamente o in parte, dovranno assistere alla soddisfazione degli altri creditori e vedranno svanire la garanzia dei loro crediti.

L’articolo 2741 del codice civile declama un “eguale diritto dei creditori di essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le cause legittime di prelazione”.

Il legislatore però, sa bene che nella realtà del processo esecutivo il concorso paritario tra i creditori è regola che patisce diverse eccezioni, stante la diffusione delle cause di preferenza, ed il codice di procedura civile non fa nessun cenno all’uguaglianza tra i creditori, mentre, in diverse disposizioni, richiama le cause di prelazione.

In forza dell’articolo 510 comma 2 del codice di procedura civile, la somma ricavata dall’espropriazione è distribuita in relazione alle cause di prelazione.

L’articolo 596 del codice di procedura civile, in materia di espropriazione mobiliare, stabilisce che il giudice o, nel caso di delega, il professionista delegato alla vendita, “non più tardi di trenta giorni dal versamento del prezzo, provvede a formare un progetto di distribuzione contenente la graduazione dei creditori che vi partecipano, e lo deposita in cancelleria affinché possa essere consultato dai creditori e dal debitore, fissando l’udienza per la loro audizione”.

Il richiamo alle “cause di prelazione” e alla “graduazione” conferma che i creditori, nella concreta dinamica dell’espropriazione, subiscono trattamenti differenziati.

I creditori che non sono assistiti da cause di prelazione sono definiti «chirografari» e concorrono tra di loro in condizione di eguaglianza ma con alcune precisazioni.

Infatti, se un creditore chirografario interviene tardivamente nell’espropriazione egli subisce la cd. postergazione, ovvero viene soddisfatto dopo tutti gli altri creditori.

Il discrimine tra azioni tempestive e tardive è segnato dall’inizio dell’udienza nella quale il giudice dell’esecuzione autorizza la vendita dei beni pignorati.

Nell’espropriazione presso terzi, il creditore chirografario, subisce la postergazione se prende posizione dopo l’udienza nella quale il terzo rende la dichiarazione.

Nell’espropriazione mobiliare, dove il valore dei beni pignorati sia inferiore ad i ventimila euro il giudice dell’esecuzione fissa la vendita con decreto e la postergazione per i chirografari è determinata dal semplice deposito dell’istanza di vendita (ex art. 525, comma 2, c.p.c.).

Inoltre, l’uguaglianza tra i creditori chirografari cessa anche se il creditore procedente indica ai chirografari tempestivi l’esistenza di altri beni utilmente pignorabili, invitandoli ad estendere il pignoramento (nel caso in cui essi abbiano un titolo esecutivo) o devono anticipare le relative spese (nel caso in cui essi non abbiano un titolo esecutivo).

 In punto di credito chirografario, alla normativa civilistica e processualcivilistica si aggiunge la disciplina delle procedure concorsuali con specifico riferimento alla normativa fallimentare, R.D. 16 marzo 1942 n. 267, art 111 che classifica i diversi tipi di creditori e l’ordine di ripartizione.

Dettagliatamente, dopo che è stato accertato l’attivo fallimentare sarà necessario procedere alla sua ripartizione tra i creditori secondo tre categorie esatte di crediti che si distinguono in:

1. i crediti prededucibili;

2. i crediti garantiti in quanto assistiti da prelazione;

3. i crediti non garantiti, cioè chirografari.

Ciò vuol dire che le somme ricavate dalla liquidazione devono essere corrisposte nell’ ordine che segue:

1) per il pagamento dei crediti prededucibili (come previsto dal successivo art. 111 bis L.F.);

2) per il pagamento dei crediti ammessi con prelazione sulle cose vendute secondo l’ordine assegnato dalla legge (come previsto dall’ art. 111 quater L.F.);

3) per il pagamento dei creditori chirografari, in proporzione dell’ammontare del credito per cui ciascuno di essi fu ammesso, compresi i creditori privilegiati, qualora non sia stata ancora realizzata la garanzia, ovvero per la parte per cui rimasero non soddisfatti da questa.

Dalla predetta disposizione si ricava agevolmente che i creditori che avranno meno possibilità di essere soddisfatti sono i creditori chirografari (perché quando si arriva a tale grado ci sono meno soldi da distribuire) che infatti verranno ammessi in proporzione dell’ammontare del loro credito.

Ciò precisato, secondo l’art 111 in sede fallimentare, i primi ad essere soddisfatti sono i crediti prededucibili.

Per questi crediti, il predetto articolo chiarisce che sono tali quelli così definiti dalla legge e quelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali, cioè tutte le procedure concorsuali previste dalla legge fallimentare.

Più dettagliatamente l’art. 111 L.F fa dunque riferimento a tre ipotesi:

  • i crediti definiti prededucibili dalla legge, e quelli sorti occasione o in funzione delle procedure concorsuali;
  • i crediti sorti in funzione delle procedure concorsuali sono quelli sorti perché frutto di attività consapevole degli organi della procedura,
  • I crediti sorti in occasione della procedura si riferiscono ad ipotesi in cui non c’è stata una specifica volontà degli organi della procedura, come nel caso in cui sorgano dei crediti di carattere risarcitorio a carico del fallimento.

I crediti prededucibili non sono sottratti alla procedura di accertamento del passivo, perché anche questi, ai sensi dell’art. 111 bis, comma 1, ne sono assoggettati, cosicchè possono anche essere tempestivi e tardivi, con l’applicazione della relativa disciplina.

Fermo restando che è il medesimo art 111 bis l.f. a porre due eccezioni a questa regola stabilendo che non sono sottoposti alla normale procedura di ammissione al passivo:

1) i crediti che non sono contestati per collocazione ed ammontare, anche se sorti durante l’esercizio provvisorio;

2) i crediti sorti a seguito di provvedimenti di liquidazione di compensi dei soggetti di cui il curatore abbia richiesto l’assistenza (art. 25 L.F. primo e sesto comma).

Dettagliatamente, per i crediti non contestati per collocazione ed ammontare, particolare importanza assumono quelli che sorgono durante il fallimento, in merito, però, alla loro liquidazione che, infatti, possono essere soddisfatti al di fuori del procedimento di riparto, ma solo se si presume che l’attivo sia sufficiente a soddisfare tutti i titolari di tali crediti, fermo restando che per il pagamento è poi necessaria l’autorizzazione del comitato dei creditori o del giudice delegato

Invece, per i crediti sorti a seguito di provvedimenti di liquidazione di compensi dei soggetti di cui il curatore abbia richiesto l’assistenza, è agevole ricavare che mancando la contestazione, sono senz’altro ammessi al passivo, ma se la contestazione vi è stata, l’ammissione al passivo potrà avvenire con il diverso procedimento del reclamo contro il decreto del giudice delegato che liquida il compenso a detti soggetti come previsto dall’ art. 26, stessa legge fallimentare, ed all’ esito del reclamo si accerteranno tali crediti e il loro diritto di essere ammessi o no al passivo.

Pertanto, l’erogazione delle somme sarà come segue:

1. ai crediti ipotecari e pignoratizi, in ordine alla liquidazione dei beni oggetto della garanzia;

2. ai crediti prededucibili;

3. agli altri creditori che hanno titolo di prelazione;

4. ai creditori chirografari.

3. Le interferenze tra legge fallimentare e disciplina codicistica

Per quanto dedotto nei precedenti paragrafi è agevole ricavare che la soddisfazione del diritto di credito vede fondersi le norme civilistiche e processualcivilistiche con quelle fallimentari.

Giusto tener presente la giurisprudenza che ha affrontato la materia, secondo indirizzi che possono ritenersi consolidati in cui si può prendere atto che sono applicabili gli artt. da 570 a 575 c.p.c. in tema di vendita senza incanto, nonché gli artt. 576, 580, comma 2, 585, comma 2 (Trib. Roma 9 giugno 1999, n. 301), 586 (Cass. 25 luglio 2002, n. 10909, in riferimento alle alle spese di cancellazione) e 587 (Cass. 6 settembre 2006, n. 19142) nel caso di vendita con incanto.

Nel dettaglio, in riferimento all’applicabilità dell’art. 586 c.p.c., la Corte di  Cassazione ha ammesso che, “ pur non rappresentando quello dettato dalla disposizione in ordine al riparto delle spese un principio inderogabile e non avendo esso ad oggetto situazioni soggettive indisponibili, il giudice delegato al fallimento ben può, con il proprio provvedimento, porre le spese di cancellazione delle trascrizioni o iscrizioni gravanti sull’immobile trasferito a carico dell’aggiudicatario” (Cass. 25 luglio 2002, n. 10909).

In riferimento invece, all’espropriazione di beni indivisi, l’indirizzo giurisprudenziale maggioritario ha ritenuto applicabile sia l’art. 600 c.p.c. (Trib. Genova 17 aprile 1997, ivi, 1997, 1231), che l’art. 601 c.p.c. (Trib. Napoli 25 giugno 2002, in Giur. comm., 2004, II, 240).

Infine, sono state ritenute applicabili alle vendite fallimentari anche le disposizioni di cui agli artt. 532 e 533 c.p.c. che disciplinano la vendita a mezzo commissionario, ciò in forza del richiamo dell’art. 107 l. fall., primo comma, ai “soggetti specializzati” (sul punto, Trib. Roma 18 aprile 1998, in Giur. mer., 2000, 353).

Al contrario, la giurisprudenza, ha invece escluso nel fallimento l’applicabilità degli artt. 615 e 617 c.p.c., ritenendo che i provvedimenti adottati in sede fallimentare sono reclamabili ai sensi dell’art. 26 l.fall. (in tal senso anche Cass.civ 23 settembre 2002, n. 13825, ivi. 2003, 837). Ciò vuol dire, che in caso di previa non proposizione del reclamo ex art. 26 l.fall., non sarà ammissibile il ricorso per cassazione proposto direttamente avverso il decreto di trasferimento del bene immobile (in tal senso, Cass. Civile 22 gennaio 2009, n. 1610, in Mass. Giust. civ., 2009, 1, 98).

Contrastata invece è l’applicabilità del potere del giudice delegato di sospendere la vendita ex art. 586 c.p.c. Sul punto l’indirizzo prevalente della giurisprudenza (Cass. 23 febbraio 2010, n. 4344, in Mass. Giust. civ., 2010, 2, 261; Cass. 16 aprile 2007, n. 23799, in Mass. Giust. civ., 2007, 11) ha ritenuto inapplicabile la disposizione, in ragione dell’esistenza della disciplina speciale dettata dall’art. 108 l.fall., secondo cui il giudice può esercitare il suddetto potere, non solo quando ritiene che il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello giusto, ma anche a fronte di gravi e giustificati motivi.

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14/06/2021

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